L’allevamento intensivo potrebbe scatenare un’altra pandemia
Humane Society International identifica cinque rischi pandemici collegati all’allevamento intensivo
La dipendenza mondiale dai sistemi di allevamento intensivi, in cui migliaia di animali dello stesso genotipo vengono tenuti a stretto contatto ed in situazioni di stress e scarso benessere, rappresenta un rischio reale per lo sviluppo di future pandemie. Questo è quanto emerge dal nuovo rapporto “Allevamento, zoonosi e pandemie”, redatto dall’organizzazione internazionale per la protezione degli animali Humane Society International (HSI); che sottolinea inoltre la necessità di accelerare l’azione globale per la transizione verso un’alimentazione sempre più vegetale.
HSI identifica cinque rischi pandemici associati all’allevamento che contribuiscono a creare le condizioni ideali per lo sviluppo, la mutazione e la diffusione di agenti patogeni:
- L’espansione degli allevamenti in aree selvagge mette specie selvatiche e addomesticate a stretto contatto, favorendo gli “spillover” di virus.
- Tenere un gran numero di animali in ambienti chiusi, in condizioni di stress, facilita l’amplificazione virale.
- La concentrazione degli allevamenti in una determinata area geografica aumenta il rischio di diffusione di agenti patogeni.
- Il commercio globale di animali vivi consente agli agenti patogeni di diffondersi ulteriormente.
- I mercati di animali vivi, le fiere agricole e le aste rappresentano centri in cui animali provenienti da luoghi diversi vengono portati in prossimità del pubblico; luoghi a rischio dove i virus possono proliferare.
Negli ultimi due secoli, gli animali da allevamento sono stati al centro di molteplici epidemie zoonotiche; compresa l’influenza aviaria H5N1 trasmessa all’uomo dal pollame, il virus Nipah e l’influenza suina H1N1 trasmessi invece dai maiali.
L’attuale pandemia ha spinto il mondo a riconoscere la necessità di chiudere i mercati di fauna selvatica; luoghi insalubri e probabile fonte della propagazione incontrollata del coronavirus. Tuttavia, manca lo stesso livello di consapevolezza per allevamenti e macelli; che possono avere conseguenze ugualmente gravi per la salute umana e che sono molto più vicini a noi.
Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International, dice: “Da quando è stata diffusa la notizia che attribuiva ad un mercato di animali vivi la possibile origine della diffusione del Covid-19, abbiamo iniziato ad interrogarci su quali altri contesti di sfruttamento animale potessero creare delle condizioni simili, per lo sviluppo di malattie. L’allevamento intensivo e la sua espansione senza precedenti è senza dubbio uno di questi. Ogni anno alleviamo e macelliamo più di 80 miliardi di animali in tutto il mondo ma se vogliamo prevenire future pandemie, dobbiamo liberarci da questa dipendenza dalla carne. I leader globali devono attivarsi per permettere la transizione verso un’alimentazione maggiormente vegetale”.
Come nei mercati di fauna selvatica, i sistemi di confinamento intensivo usati nell’allevamento, ammassano un numero elevato di animali in spazi ristretti ma su una scala molto più ampia. Negli impianti produttivi industriali di pollame, vengono allevate decine o addirittura centinaia di migliaia di animali; costretti a respirare la stessa aria polverosa e carica di ammoniaca. Le scrofe e le galline ovaiole sono tenute in gabbie metalliche così piccole da non poter rispettivamente girarsi o spiegare le ali. Più animali rappresentano più opportunità per un virus di replicarsi e mutare; quindi di creare maggiori possibilità per un nuovo e mortale agente patogeno di svilupparsi da un sito di produzione infetto.
Per prevenire un’altra epidemia dovuta a virus zoonotici come quello che causa il Covid-19, secondo HSI sono necessarie:
- Una riduzione sostanziale della dipendenza globale dalle proteine di origine animale.
- Politiche pubbliche che favoriscano la produzione di opzioni a base vegetale invece che l’espansione dell’allevamento.
- Una riduzione del numero di animali allevati a fini alimentari, per ridurre la densità della popolazione animale sia all’interno degli allevamenti che geograficamente.
- Una graduale eliminazione dell’uso delle gabbie usate per confinare gli animali nei sistemi intensivi.
- Una graduale eliminazione del trasporto a lunga distanza di animali vivi.
- Politiche per proteggere gli ecosistemi naturali dall’espansione agricola e da altre fonti di degrado e frammentazione.
- Un divieto sulla vendita di pollame in tutti i mercati di uccelli vivi e restrizioni sulle esibizioni di animali vivi.
Sara Shields, Senior Scientist di Humane Society International dichiara: “Studiando le malattie passate, trasmesse dagli animali all’uomo, si può notare un modello che identifica chiaramente l’allevamento intensivo come responsabile chiave. L’epidemia di Nipah del 1997 in Malesia è un esempio di diffusione del virus da specie selvatiche a specie domestiche. Le metanalisi hanno inoltre dimostrato che l’influenza aviaria altamente patogena è resa possibile dal confinamento di migliaia di uccelli insieme, permettendo ai virus di scambiarsi facilmente tra gli ospiti”.
“Possiamo rendere il mondo meno vulnerabile a future pandemie ma solo rivalutando i sistemi d’allevamento e attingendo a fonti di proteine vegetali. Per fare questo è necessario che i governi si impegnino a riequilibrare il nostro sistema alimentare e che i consumatori si rendano conto di essere direttamente responsabili dell’impatto delle proprie scelte. Il mercato degli alimenti a base vegetale è in piena espansione, rendendo facile la sostituzione dei prodotti animali con alternative vegetali. Non c’è momento migliore per prendere decisioni coscienziose pensando agli animali e alla salute del nostro pianeta”.
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