ABEL: DA ARTIFICIAL INTELLIGENCE AD INTELLIGENZA EMOTIVA.

Ha le fattezze di un dodicenne ed apre le frontiere all’utilizzo di robot umanoidi nella società.

Sono trascorsi molti anni da quando, nel 1999, Robin Williams regala al pubblico una splendida interpretazione di un NDR-114, robot positronico nato per aiutare gli umani nelle faccende domestiche e che si evolve inaspettatamente, cominciando a provare curiosità e sentimenti…fino ad urlare con enfasi la frase ” ho visto il mio io interiore!” che diventa una rivelazione e che imbastisce un percorso in cui  il rapporto tra personaggio e spettatore si rinsalda in un crescendo di empatia.

“Bicentennial man” è solo uno dei tanti film attraverso cui, registi visionari, hanno nel tempo cercato di rappresentare come nell’immaginario collettivo, le distanze tra robot e persone, potrebbero accorciarsi.

Nel 2001 Steven Spielberg dirige “A.I. Artificial Intelligence”, dove un sempre notevole Haley Joel Osment, veste i panni di David, automa prodotto dalla Cybertronics, con fattezze di un bambino ed in grado di provare sentimenti reali verso gli umani.

Ebbene… abbandonate la finzione!

Oggi al Centro di Ricerca “Piaggio” dell’Università di Pisa, va in scena la realtà!

Dalla sinergia tra la Biomimics di Londra (che ha dato origine ad alcuni tra i più noti “alieni” del comparto cinematografico) e Gustav Hoegen (acclamato per le sue creazioni in ambito di effetti speciali nel regno di Hollywood), nasce Abel, robot umanoide con i connotati di un ragazzino di dodici anni!

Motori piezoelettrici nascosti sotto la sua pelle artificiale, gli permettono di compiere movimenti ed assumere espressioni del tutto simili alle nostre.

Ma quello che è davvero sorprendente, è che tali espressioni non sono casuali, bensì il risultato di una profilazione (attraverso   telecamere, microfoni binaurali per una registrazione tridimensionale del suono, tecnologie per l’encefalogramma e scanner termici) che Abel è in grado di compiere rispetto al suo interlocutore.

Questo grazie all’azione combinata di robotica sociale (la cui parola d’ordine è l’autonomia o semi autonomia della macchina) ed affective computing che qualificano il robot, da intelligenza artificiale a vera e propria intelligenza emotiva!

Ma quali sono i possibili impieghi di Abel?…e quali potrebbero essere i futuristici scenari ancora da sperimentare?

Al momento si cerca di comprendere se una macchina possa essere in grado di supportare non solo una condizione di salute fisica, ma anche (e qui starebbe la vera innovazione!) mentale ed emotiva  come ad esempio nei casi di autismo, di disturbi comportamentali e socialmente disfunzionali o ancora degenerazioni neuro-cognitive come può essere l’Alzheimer.

La capacità di intercettare con precisione indicatori come cambiamenti termici sulla pelle o del battito cardiaco di chi ha di fronte, ovvero di elaborare ipotesi in merito a quanto “osservato” rendono le performance di Abel davvero di enorme utilità, dando la possibilità di cogliere con immediatezza condizioni emotive che potrebbero, inizialmente, sfuggire all’essere umano, aiutando i medici nella ricerca dei trattamenti più efficaci.

Le potenzialità ancora da esplorare, sono poi molto suggestive!

Al momento Abel reagisce su impulsi innescati da software e da sensori esterni  indossati dal suo interlocutore, ma la prospettiva è di “trasferire” questa tecnologia all’interno del robot e dotarlo di un cervello organoide, definito molto semplicisticamente un mini cervello umano (che mostra cioè caratteristiche microanatomiche realistiche) dentro un corpo con cui interagire.

Ma quali sono le conseguenze etiche da affrontare quando si varca la frontiera degli umanoidi?

Di certo, la roboetica dovrà cercare risposta ad una serie di interrogativi del tutto nuovi.

Ad esempio, se sarà giusto pensare ai robot come macchine nella medesima modalità con cui li consideriamo oggi oppure, quali saranno le responsabilità civili e penali per eventuali danni da essi causati nei confronti di cose o persone assistite od ancora, come cambieranno i concetti di proprietà e possesso nei confronti di AI evolute ed autonome?

Altro tema scottante sarà quello della privacy e conservazione dei dati necessari ai robot per apprendere e creare un modello del nostro comportamento, finalizzato a soddisfare l’uomo nei modi più appropriati.

Si tratta di nodi ancora da sciogliere e che richiederanno notevole applicazione di professionalità diverse con riferimento ad un uso morale dei robot.

Nel frattempo continueremo ad immaginare la nostra convivenza con una sempre più complessa artificial intelligence attraverso serie TV e lungometraggi…volgendo però il nostro sguardo curioso verso la realtà ed il futuro…fino a quando, forse presto,  incroceremo quello di un umanoide pronto a sorriderci!

Articolo di Monia Strazzeri.

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