“UNO, NESSUNO E CENTOMILA”… LA PERCEZIONE DI SÉ AL TEMPO DEI SOCIAL

Come in Vitangelo Moscarda, il disagio nel rapporto soggetto-realtà al tempo dei social network

L’eterno conflitto dell’io alla ricerca di un continuo equilibrio tra dimensione individuale ed
aspettative sociali, oggi più banalmente tradotte in like e follower, è figlio di intime
inquietudini che l’uomo ha già conosciuto nel tempo.

Pensiamo ad esempio a come il Novecento raccoglie e sviluppa la crisi di fine
Ottocento, quando la fiducia nelle sue ideologie viene meno subendo un allontanamento
dalla concezione meccanicistica del mondo che con i suoi rigorosi nessi di causa ed
effetto aveva, fino ad allora, offerto un ampio margine di certezze.

Le logiche del capitalismo impongono un modello di società borghese, tutto basato su
argomentazioni quali beni e profitto come unici valori e
l’uomo inizia a percepire la difficoltà di comunicare con i suoi simili, sperimentando uno
stato di forte disagio nel rapporto soggetto-realtà.

La risposta al patimento esistenziale arriva dagli uomini di cultura approdando a soluzioni
differenti e, non di rado, contraddittorie.

Alcuni scrittori si impegnano nell’analisi di tale “malattia”, dell’inettitudine umana e del suo
mal di vivere.

Tra questi Pirandello affronta il dilemma dell’identità attraverso la finzione che risiede alla
base della rappresentazione sociale, facendo dello “smascheramento” una novazione
culturale che gli vale il successo internazionale sul palco.

Ed è proprio in alcuni passi tratti dalla celebre opera di Pirandello “Uno, nessuno e
centomila” che troviamo spunto riguardo agli argomenti fin qui affrontati:

“Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato
come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo
modo, secondo la realtà che m’avevano data; cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda
che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi
erano.”

“L’idea che gli altri vedevano in me uno che non ero io quale mi conoscevo; uno che essi
soltanto potevano conoscere guardandomi da fuori con occhi che non erano i miei e che mi
davano un aspetto destinato a rendermi sempre estraneo, pur essendo in me, pur essendo il
mio per loro (un “mio” dunque che non era per me!); una vita nella quale pur essendo la mia
per loro, io non potevo penetrare, quest’idea non mi diede più requie.
Come sopportare in me questo estraneo? Questo estraneo che ero io stesso per me? Come
non vederlo? Come non conoscerlo?
Come restare per sempre condannato a portarmelo con me, in me, alla vista degli altri e
fuori intanto dalla mia?”

“Siate sinceri: a voi non è mai passato per il capo di volervi veder vivere. Attendete a vivere
per voi, e fate bene, senza darvi pensiero di ciò che intanto possiate essere per gli altri; non
già perché dell’altrui giudizio non v’importi nulla, ché anzi ve ne importa moltissimo; ma
perché siete nella beata illusione che gli altri, da fuori, vi debbano rappresentare in sé come
voi a voi stessi vi rappresentate”

Vitangelo Moscarda si scopre un estraneo a sé stesso e l’esplorazione di questa
scoperta, farà da cardine all’intera narrazione.

Il romanzo viene pubblicato tra il 1925 e il 1926 sulla rivista «La Fiera Letteraria»…non
esiste ancora internet né tanto meno i social…eppure le parole appena lette, sembrano
incastrarsi perfettamente tra quelli che sono i grandi dilemmi della nostra epoca,
semplicemente “gli altri”, come specchio della nostra identità …risiedono, il più delle volte,
dietro ad un device!

Un’altra riflessione è altrettanto importante: le azioni che Moscarda intraprende per
veicolare una nuova immagine di sé e che sono, invece, percepite dal resto del paese come
“follia” …oggi costituiscono quella che è di fatto la normalità per chi fruisce dei social
network!

È infatti l’utente che decide chi vuole essere, quale “maschera” indossare a seconda di una
sua percezione di desiderabilità `che sarà poi rafforzata o meno dai commenti positivi e
dagli hater.

Ma in questa ipotetica e spesso irrealistica rielaborazione della propria immagine, qual’ è la
fine a cui è destinato il vero Io? E quali sono i pilastri che vacillando incoraggiano la
versione, per lo più narcisistica, di individui sempre più giovani e sempre meno in grado di
accogliere positivamente i propri limiti?

Una concausa, a partire da alcuni assunti della moderna psicologia, può annoverarsi
nella figura sempre più prevalente del genitore-figlio.

Riportando le parole di Massimo Recalcati : “si tratta di quei genitori che abdicano alla loro funzione, ma non perché abbandonano i loro figli, né perché si pongono come degli educatori esemplari, ma perché sono troppo prossimi, troppo simili, troppo vicini ai loro figli…quelli che si assimilano simmetricamente alla giovinezza dei loro figli”

ed ancora

“si tratta – per riprendere una formula di Pasolini – di una mutazione antropologica recente:
l’evaporazione degli adulti, dileguati di fronte al peso delle loro responsabilità educative”.

Questo dissolversi di figure genitoriali credibili, non completamente a proprio agio nel
veicolare limiti e valori nonché un ideale di “desiderio” cui l’adolescente possa aspirare, ha
creato grosse difficoltà sia nelle famiglie che all’interno delle istituzioni scolastiche,
anch’esse con l’incombenza di affrontare le nuove recriminazioni dei “genitori-figli” ed il
contestuale aumento di casi di depressione ed ansia giovanile.

Inoltre il web ha finito per annientare la condizione tipica dell’adolescenza, cioè il
protendere verso un “desiderio” proprio, che prescinda dall’adeguarsi al desiderio dell’Altro.
Si è così indebolito sempre più il vero Sé anzi, ha disperso la sua unicità tra i vari profili
dei numerosi social che hanno assunto il valore di veri e propri contenitori di vite ritoccate,
“filtrate”, vite che possano suscitare ammirazione, a volte sentimenti di invidia, che siano
provocatorie, seducenti …e purtroppo anche testimonianza di una disconnessione dalla
realtà e da una socialità autentica!

È stato ampiamente studiato, infatti quanto l’abuso di determinati device, soprattutto da
parte dei più giovani, favorisca opportunità di dipendenza patologica.

Si può così arrivare a situazioni estreme quali trance dissociativa da videoterminale in cui
l’individuo che fruisce di determinati luoghi virtuali, sviluppa atteggiamenti regressivi e dissociativi fino alla creazione di nuovi personaggi con cui identificarsi come avviene, per esempio, nel gender switching ; il fenomeno dell’hikikomori che utilizza internet come unico accesso verso il mondo; l’internet gaming disorder dove chi dipende da giochi online, preferisce passare il suo tempo con gli amici conosciuti in rete credendo che queste relazioni siano molto più vere ed intense rispetto a quelle della vita reale.

Questi solo per citarne alcuni.

Un’ultima riflessione ci riporta ancora alla figura di Vitangelo Moscarda…come quest’ultimo
è probabile che altri si ritrovino, ad un certo punto della propria vita, ad analizzare tutti i “se
stesso” abitati dai vari social, a rivalutare l’importanza del corpo e del linguaggio non
verbale (grandi assenti del web), che permettono di comunicare sfumature emotive
fondamentali, nella speranza di scoprire chi si è veramente e, soprattutto, a quale
proiezione di sé corrisponda il proprio animo, fino ad abbandonare tutte le “maschere”
che, in questo caso, non la società umana (come accade a Gege`) ma la propria, confusa
identità si è a mano a mano imposta di indossare.

Articolo di Monia Strazzeri