Solo auto elettriche nel 2035? No, non è impossibile

Non è ancora chiaro se tutti i Paesi membri dell’Unione europea accetteranno lo stop alla vendita delle auto a benzina e diesel a partire dal 2035, previsto dalla risoluzione legislativa approvata lo scorso 14 febbraio. In questi giorni si sono intensificati i contatti con Bruxelles da parte di molti Paesi (tra cui l’Italia e la Germania) preoccupati per via della misura, con il lamentato rischio che le proprie industrie possano perdere mercato e competitività a causa della virata politica a favore della mobilità elettrica. Ma tant’è.

Secondo il nostro Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, pur condividendo gli obiettivi di decarbonizzazione, l’Italia sostiene che i target ambientali vadano perseguiti attraverso “una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa”, pianificata e guidata con grande attenzione, per evitare ripercussioni negative per il paese sia sotto l’aspetto occupazionale che produttivo

Perché invece questa rivoluzione è possibile, utile e necessaria?

Le auto a motore termico (a benzina o diesel) generano inquinamento esattamente là dove vengono utilizzate. Nelle grandi città ad esempio (ovvero in tutte quelle località con grande densità di popolazione) l’inquinamento è, infatti, piuttosto elevato. Da qui l’equazione (piuttosto banale) che, sostituendo le auto termiche con quelle elettriche, le città sarebbero finalmente libere dallo smog garantendo una migliore qualità della vita ai cittadini. I detrattori di questa proposta, però, sollevano la tesi che non ci sarebbero abbastanza colonnine di ricarica disponibile per tutti, e anche se ce ne fossero, i tempi per la ricarica non si concilierebbe con il dinamismo e la velocità della nostra quotidianità. Questo è un falso problema.

Già nel 2016 Fabio Pompei e Alessandro Alongi, docenti universitari ed esperti di innovazione, nel loro libro “Conversione Digitale” scrivevano: “Anche le auto elettriche sono una grande opportunità (oggi sono ancora in fase di diffusione e sarà necessario lavorare sull’infrastruttura a supporto per vederne un uso massivo). Ci sono stati esperimenti, ad esempio, per risolvere il problema del caricamento delle batterie effettuando sostituzioni veloci anziché attendere i tempi di ricarica.

Pompei e Alongi, già sette anni fa, avevano colto il problema e proposto una soluzione: l’Europa deve puntare su uno standard di batterie che siano sostituibili in tempi brevi (pochi minuti – l’attuale tempo di un pieno di carburante) per consentire il cosiddetto “swap“, ovvero la sostituzione della batteria scarica con una carica; secondo i due autori, l’automobilista del futuro potrebbe recarsi presso una area di servizio (come accade oggi), e qui – anziché immettere carburante nel proprio serbatoio – chiedere all’operatore di sostituire la batteria del proprio veicolo elettrico (scarica), con un’altra batteria (stavolta carica). Sarà poi cura della stazione di servizio ricaricare l’accumulatore, monitorarne lo stato di usura ed effettuare l’eventuale “ricellaggio” (sostituzione del pacco batteria, mantenendo l’involucro e le componenti elettroniche intatti). Si impiegherà lo stesso tempo (vince l’automobilista), si salvaguarderanno posti di lavoro (vince il lavoratore) e l’ambiente sarà più pulito (vince l’ecosistema).

Tale soluzione, infatti,  eviterebbe le temute ripercussioni negative per il Paese sotto l’aspetto occupazionale e produttivo: le attuali aree di servizio di distribuzione del carburante, il relativo personale diretto e indiretto verrebbe, in tal modo, mantenuto e convertito per gestire queste nuove attività professionali.

Utopia?

Oggi fare rifornimento è un qualcosa di scontato e le stazioni di servizio sono una componente essenziale del nostro vivere quotidiano. Non è sempre stato così: il rifornimento, infatti, si è evoluto nel tempo, con la diffusione capillare degli impianti e con operazioni di marketing delle compagnie petrolifere.
 
A inizio ‘900 la benzina in Italia era venduta in drogheria e in farmacia. Le (poche) automobili circolanti acquistavano il carburante in latta o si rifornivano alle prime e rudimentali pompe di benzina fuori dai negozi. Agli inizi del ‘900 pensare di trovare una pompa di benzina in ogni angolo della città sarebbe stato impensabile, esattamente come oggi pensare a stazioni di servizio tecnologiche con sistemi di swap delle batterie.

Altra tesi sostenuta dai denigratori dell’auto elettrica è che il problema dell’inquinamento si sposterebbe dall’auto termica alle centrali, impianti che dovranno produrre più energia per soddisfare il maggiore fabbisogno di risorse per la ricarica. Anche questa tesi è facilmente confutabile. Infatti, se in parte è vero che sarà necessaria più energia (indispensabile, comunque, nella società dell’informazione), c’è da dire che controllare milioni di mezzi privati è più complesso che controllare un numero limitato di centrali che, peraltro, si troverebbero fuori dai centri urbani, e quindi “sposterebbero” l’inquinamento da aree ad alta densità ad aree rurali. Nelle centrali inoltre, con le recenti tecnologie, sarà possibile controllare al meglio le emissioni e filtrare eventuali inquinanti.

Non paghi, i detrattori dell’auto elettrica potrebbero appellarsi al fatto che ci saranno molte più batterie da produrre e smaltire.

Su questo punto, l’Unione europea non è stata silente, e ha già predisposto un quadro giuridico incentrato sulla direttiva sulle energie rinnovabili e il nuovo regolamento sulle batterie, con l’obiettivo di garantire un processo di produzione delle batterie neutro privo di effetti negativi sull’ambiente. Esistono inoltre numerosi progetti, sul campo, tesi a promuovere un’economia circolare che sia attenta al riutilizzo delle componenti esauste dei veicoli per trovare loro una seconda vita. L’idea di base, e comune ai vari progetti, è quella di riutilizzare le batterie esauste in sistemi di stoccaggio di energia proveniente da fonti rinnovabili. Esistono già impianti che applicano (con successo) questa tecnologia, servendosi di accumulatori dismessi. L’obiettivo, in sintesi, è quello di prolungare la vita delle batterie di 10 anni. Gli accumulatori delle auto mantengono circa l’80% della loro capacità alla fine della loro vita “automobilistica”, e smaltirle significherebbe sprecare un grande potenziale residuo.

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