Coronavirus: allarme ambientale per l’inquinamento futuro
Proteggersi dal Coronavirus ha un prezzo nascosto?
Questa è la domanda che forse dovremmo iniziare a farci, in vista dell’avvio della cosiddetta “Fase 2”. Infatti, con l’intensificarsi dell’emergenza Coronavirus, si è assistito ad un vero e proprio boom delle vendite di prodotti sanitari. Non solo disinfettanti o gel igienizzanti, ma anche guanti e mascherine chirurgiche, in particolar modo quelle monouso.
In effetti, bisogna ricordare che non tutti i filtranti facciali possono essere riutilizzati. Per la maggior parte di questi, non esistono procedure scientificamente provate per sterilizzarli. Eventualmente, gli unici riusabili possono essere i dispositivi di protezione individuale di tipo FFP1, FFP2 e FFP3. Ad una condizione però: che il materiale non presenti segni d’usura.
Le indicazioni dell’Istituto Superiore della Sanità
Come già stimato in un articolo del Corriere della Sera, l’Italia avrebbe bisogno di circa 130 milioni di mascherine al mese. Nelle prossime settimane, le nostre industrie riusciranno a produrne fino a 2 milioni al giorno. Delle cifre impressionanti, soprattutto se si riflette sul fatto che si tratta di prodotti interamente non riciclabili.
Per il momento, difatti, non è stato ancora avviato un piano di raccolta su larga scala dei prodotti sanitari usati. L’elevata contagiosità del Coronavirus imporrebbe, almeno in teoria, la necessità di un programma di smaltimento speciale. Tuttavia, le indicazioni fornite a marzo dall’Istituto Superiore della Sanità, si limitano a considerarli semplici rifiuti indifferenziati.
Le stime per il prossimo futuro
Basandoci su tali dati, si può ipotizzare che entro fine anno avremo consumato circa 1 miliardo e 200 milioni di mascherine chirurgiche. Questo solo per quanto riguarda l’Italia. Una situazione ancora più grave si prospetta in Cina che, invece, è in grado di produrne addirittura oltre 200 milioni al giorno.
Proprio sulle coste asiatiche, un gruppo di ricercatori della Ocean Asia ha recuperato centinaia di questi filtranti facciali, portati a riva dalla corrente. Nei prossimi mesi, molti altri se ne troveranno nei mari. Gli effetti che potrebbero avere sull’ambiente sono devastanti. Ma non sono soltanto gli elastici in gomma a preoccupare gli ambientalisti. La maggior parte delle maschere, infatti, sono fatte di poliestere o polipropilene, un tipo di plastica che non si degrada rapidamente. Come si evince da questo studio condotto da USA e Cina, alcuni prodotti chimici presenti nelle fibre plastiche possono agire sulle specie acquatiche come interferenti endocrini. Nei pesci, in particolare, l’esposizione cronica alle microfibre in plastica potrebbe provocare aneurismi, gravi danni alle branchie e significative mutazioni nella produzione di uova.
Nonostante l’emergenza Coronavirus stia portando, giustamente, la nostra attenzione verso gli aspetti sociali ed economici, non dovremmo mai smettere di salvaguardare l’ambiente. Per questo, mi unisco agli allarmi già lanciati da Legambiente Campania e da altre associazioni affinché vengano presi, quanto prima, seri provvedimenti al riguardo.