Amazon Ring: Babbo Natale finisce in tribunale

Un hacker si introduce nel sistema di sicurezza Amazon Ring e spaventa una bambina fingendosi Babbo Natale

La tecnologia non finisce mai di stupirci anche se, a volte, fa paura.

Tiene banco negli Stati Uniti, in questi mesi, il caso della famiglia Blakeley. Nel dicembre scorso, aveva istallato nella propria abitazione una videocamera “Amazon Ring”, prodotta dal colosso di Seattle. Strumento che prometteva la massima sicurezza contro qualsiasi intrusione all’interno delle mura domestiche.

Grazie a diversi apparecchi presenti in più stanze, infatti, Ashley e Dylan Blakeley potevano in ogni momento controllare ogni più piccolo movimento all’interno del focolaio domestico. Compreso cosa stessero facendo le loro tre bambine nelle proprie camere. Peccato però che, a poche ore dallo scoccare del Natale, un hacker privo di ogni scrupolo ha forzato il sistema e si è introdotto nella rete Internet della famiglia. Non solo ha spiato le bambine ma ha addirittura interagito, tramite il microfono incorporato in Ring, con una di loro. Ad un certo punto, infatti, lo sconosciuto ha detto alla bambina di essere Babbo Natale e le ha ordinato di mettere a soqquadro la sua stanza e rompere la televisione. 

Adesso la parola spetterà ai giudici californiani investiti della questione. La famiglia Blakeley ha portato alla sbarra Ring, chiedendone conto e ragione. “Invece di aiutare le famiglie a proteggere le loro case, i dispositivi di sicurezza Ring hanno avuto l’effetto opposto consentendo agli hacker di sfruttare le vulnerabilità della sicurezza nel sistema per spiare e molestare i clienti all’interno delle loro case“. Così si legge nell’atto di citazione.

I contorni tetri della vicenda non sono da poco. Secondo i Blakeley l’hacker, per avere maggiore presa sulla fanciulla, ha anche suonato una canzone del film horror “Insidious”. Un incidente traumatizzante per chiunque, figuriamoci per una bambina di 8 anni. Da quel momento Alyssa, questo il nome della sfortunata ragazzina, non ha più voluto dormire nella sua stanza.

Simile ma più invasivo episodio anche per una famiglia della Florida. Nei mesi scorsi, sempre sfruttando i “buchi” di Ring, uno sconosciuto si è introdotto nella rete domestica e ha lanciato insulti razzisti contro il figlio di 15 anni. Il giovane, per di più, non è mai apparso davanti alla telecamera durante l’incidente. Tale fatto lascia presagire che l’hacker stesse scrutando la vita privata di questa famiglia già da diversi giorni. Un fattore che accresce la preoccupazione verso questo tipo di tecnologia.

Ma i guai per Ring non finiscono qui. Secondo un rapporto dell’Electronic Frontier Foundation (EFF), l’organizzazione impegnata nella tutela dei diritti digitali, sembra che Ring abbia raccolto in maniera fraudolenta diversi dati degli utenti. Per trasferirli successivamente a cinque società americane tra cui Facebook e Google. Tra le molte informazioni rubate, vi sono molti dati sensibili come i nomi completi degli utenti, il loro indirizzo mail e l’IP.

Che la privacy rappresenti il nervo scoperto di Ring è ormai assodato. Ad oggi le cause aperte contro questa nuova tecnologia sono circa 200, soprattutto in merito all’uso dei dati personali degli utenti e le basse misure di sicurezza che aprono le porte ad ogni genere di attacco informatico.

Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.